Convento di S. Francesco

Il Convento venne edificato per volere di Carlo Pandone, figlio dl Francesco conte di Venafro. Carlo che era nato nel 1424, soggiornava spesso nel Castello di Prata, feudo del padre, insieme alle sposa Margherita del Balzo ed ai figlioletti  Scipione e Camillo. Nel mettere In opera la costruzione del Convento Carlo fu sicuramente ispirato oltre che dalla devozione all’ordine francescano anche dal senso di pace che suggeriva quel luogo da lui cosi a lungo frequentato. Tuttavia egli non vide terminata l’opera, mori infatti nell’anno 1456 a soli trentadue anni. Il primogenito Scipione allora minorenne ed ancora sotto la tutela della madre, continuò l’opera fino a compimento e a testimonianza della volontà paterna fece porre una lapide ne venne distrutta nel maggio 1914 in occasione dl lavori di restauro commissionati dai Padri Servi di Maria che avevano avuto il Convento in enfiteusi dal Comune di Prata il 18 aprile del 1906.

Sulla lapide era scritto “Carolus Pandone hoc templum a fundamentis aedificavit A.D.1460”. A lavori ultimati la Chiesa ed il Convento, consacrati nel 1480 da Antonio di Teramo vescovo di Boiano, furono affidati alle cure di otto frati “commorandum ut plurimum in loco 8 fratres”.

Anche Scipione, come il padre, fu prodigo di attenzioni verso il Convento e verso gli abitanti dl Prata dove si tratteneva a lungo. Nell’anno 1492 le sue spoglie vestite della veste francescana secondo la sua volontà, furono temporaneamente poste nella seconda cappella a sinistra della chiesa, ricavata in un corpo aggiunto (attualmente adibito a tutt’altra  destinazione) per essere poi trasferito nello stesso anno nella cappella definitiva. Nell’anno 1528, quando con la decapitazione di Enrico Pandone per ribellione si estingue il dominio di questa dinastia, la Baronia di Prata viene per breve tempo rimessa al Real Fisco.

Poco dopo la metà del 1500 i Principi Rota ricevono la Baronia per merito d’armi. Anche questi feudatari intervengono in maniera munifica: nel 1583 commissionano affreschi nel Refettorio (dove rimane solo un’affresco raffigurante l’Ultima cena di fattura settecentesca) e le pitture nelle 28 lunette del Chiostro che rimangono alla vista fino al primi anni del 1900. Nel 1584 donano alla Chiesa un organo poi sostituito nel 1845. E’ durante la loro permanenza a Prata che ospiteranno presso  il Castello il Vescovo della Diocesi di Alife, Angelo Terzo Rosso da Terni, il quale reggerà la Diocesi solo per un anno e morirà proprio nel Castello nel 1568. Una bella lapide in pietra ne ricorda la sepoltura nel pavimento della navata della  Chiesa vicino all’Altare Maggiore. Un’altra lapide precede quella del Vescovo,  riproduce un fraticello e chiude la sepoltura dei frati. Nell’anno 1640 l’Ordine francescano della Provincia della Nova viene richiamato a Napoli dalla stessa Autorità Apostolica. Nell’andarsene i solerti fraticelli portano via tutte le ricchezze della Chiesa.

A cominciare dal 1860 si compie il primo importante intervento sulle strutture murarie della Chiesa che fino a quella data aveva conservato l’aspetto voluto al momento della fondazione “la chiesa era basisima…” Mastri venuti da Alfedena alzano il tetto conferendogli l’aspetto odierno e murano tutte le cappelle ricavate nell’antico corpo aggiunto posto a sinistra della navata e che aveva ospitato temporaneamente le spoglie dei fondatore. Solo  nel 1704 i nuovi feudatari, gli Invitti principi di Conca e Marchesi di Prata faranno aprire di nuovo l’unica cappella a sinistra esistente ancora oggi, la dedicheranno a S. Antonio decorandola con affreschi della vita del Santo e ponendovi una lapide a ricordo di alcuni membri della famiglia ivi seppelliti. la Famiglia commissionerà il pavimento della chiesa, come riporta un documento del Notaio Giovanni Cameretti del 1745, al mastro di riggiole Francesco Festa di  “San Lorenziello di Cerreto” il quale si obbliga a dipingerle “secondo la matunata che sta fatta e situata a Presbiterio della Chiesa di pp Carmelitani di detta terra di san Lorenziello…” e a porle in opera entro un anno.  La chiesa, che fino a tutto il 1700 era ricca di cappelle poste sul lato destro della navata e appartenenti alle famiglie illustri di Prata, si apriva a crociera con tre cupole sorrette da 16 archi ed un campanile ricoperto da romanelle gialle e verdi. L’Altare Maggiore, sostituito a quello più antico, era in marmi policromi e fu inaugurato nel 1730 alla presenza del Vescovo di Alife, di tutti i monaci e dell’intera famiglia del Principe Invitti. Contemplava l’intero complesso il giardino ricco di alberi da frutto di diverse specie che assicuravano il raccolto per tutto l’anno, aveva due peschiere alimentate da un corso d’acqua che partendo da “Pagliara”- l’odierna Prata Superiore raggiungeva il Convento.

Tutto quanto fino ad ora esposto proviene da diversi documenti nei quali tuttavia non sono mai ricordati gli affreschi raffiguranti un’Annunciazione e tre Sante Martiri Agata, Lucia ed Apollonia, oggi visibili ai lati della porta d’ingresso della Chiesa recuperati dai soci del Gruppo Archeologico Prata Sannita nel 1983 sotto la direzione di restauratori nominati dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici, Artistici e Storici di Caserta.

Procedendo lungo a navata su lato destro, nascosta dal quadro della Madonna di Pompei è visibile ancora oggi la traccia di un affresco, forse coevo alla fondazione. Quasi al termine della navata ancora sulla destra,  è comparsa una piccola immagine  di San Francesco nell’atto di ricevere le stimmate. Da ultimo, nella parete destra del transetto, sono conservati in un armadio, mal protetti, i corpi mummificati di tre personaggi che la tradizione vorrebbe essere quello di Scipione, della moglie e di una loro figlioletta. Non si è comunque certi del loro nome, infatti da quanto suggerito da un vecchio manoscritto  sembrerebbe che appartengano al nipote di Scipione, Federico ed alla sua famigliola.

Nel corso dell’anno 2015 il Convento è stato chiuso per mancanza di monaci, pertanto la Chiesa viene raramente utilizzata per il Culto, il monumento attualmente non è visitabile.

Affreschi recuperati dal G.A.P.S. visibili all’interno della chiesa.
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